La pratica di mettâ

Nella tradizione Buddhista, esistono diverse pratiche meditative, volte a raggiungere un sempre maggiore stato di consapevolezza della realtà e del proprio stato interiore per come è, andando a smascherare le illusioni create dalla nostra mente e mirando a rientrare e riconnettersi sempre di più con le sensazioni corporee. Una di queste pratiche, meno conosciuta al pubblico che si interessa di meditazione per motivi di stress, ansia o per sentirsi semplicemente meglio, si chiama meditazione mettā, ovvero la meditazione sull'amorevole gentilezza. Mettā infatti è uno dei "4 incommensurabili" o Brahmavihara (letteralmente "dimore di Brahma"), qualità sublimi dell'essere umano che possono essere sviluppate attraverso una pratica costante. I brahmavihara sono mettā, karunā, muditā e upekkhā, ossia amorevole gentilezza, compassione, gioia condivisa ed equanimità. Queste qualità dell'essere e di pensiero, ci permettono di uscire dal modo di affrontare la realtà ordinario, di solito pieno di reazioni, spesso spropositate e di certo automatiche verso gli accadimenti esterni e gli atteggiamenti altrui e di entrare in una modalità più tranquilla, rilassata e consapevole delle cose, generando in sé un senso di maggiore unità tra noi e tutto ciò che ci circonda. Secondo Thích Nhất Hạnh, famoso monaco buddhista vietnamita, la pratica della meditazione mettā nel tempo porta il praticante a godere di numerosi benefici:
"dormire bene,
svegliarsi al mattino sentendosi bene e con il cuore leggero,
non fare sogni spiacevoli,
le persone ci vogliono bene e noi ci sentiamo a nostro agio con loro, specialmente con i bambini,
essere gentili verso gli animali,
essere sostenuti e protetti da dei e dee,
essere protetti dal fuoco, dal veleno e dalla spada,
essere in grado di raggiungere facilmente la concentrazione meditativa,
il viso diventa luminoso e chiaro,
si ha chiarezza mentale al momento della morte,
si rinasce nel paradiso di Brahma."
(fonte: https://www.istitutomindfulness.com/esercizio-di-meditazione-di-metta/)
Mettā è una pratica in cui si coltivano pensieri di benevolenza nei propri confronti e poi si espande questa benevolenza con altri, includendo infine, in modo equanime, tutti gli esseri dell'universo. Si parte da se stessi, si procede con persone a noi care, poi con persone neutre che magari conosciamo ma verso cui non proviamo particolari emozioni, come un vicino di casa e così via, fino ad includere tutti gli esseri umani.
Ci sono diversi modi di praticare la meditazione mettā. Vediamone un paio:
Innanzi tutto bisogna sedersi in un posto tranquillo o su un cuscino o su una sedia, restare con la schiena eretta, ma non rigida, e favorire uno stato mentale rilassato, facendo qualche respiro profondo e iniziando a percepire il corpo. Si prosegue, come consiglia la dott.ssa Nicoletta Cinotti, col ripetere mentalmente delle frasi di "gentilezza amorevole" verso se stessi:
«Che io possa io essere felice
Che io possa essere al sicuro, libero dalle avversità
Che io possa avere la pace nel cuore e nella mente
Che io possa essere libero dalla sofferenza fisica
Che io possa avere cura di me stesso con gentilezza e saggezza.»
(https://nicolettacinotti.net/la-pratica-di-metta/)
Si procede, lentamente e consapevolmente, rimanendo in contatto con il proprio corpo ad inviare queste frasi d'amore sostituendo al pronome io il nome di una persona cara e si continua con l'espansione del messaggio di amore verso altre persone.
Un altra meditazione mettā, sempre coerente con il suo significato e scopo ma con pensieri da recitare leggermente diversi, è quella proposta da Alberto Cortese (https://zeninthecity.org/):
« Che io possa prendermi cura di me
di quello che mi piace di me e di quello che non mi piace
di quello che conosco di me
e di quello che non conosco
Che io posso prendermi cura di tutto ciò
con amorevole gentilezza.
Che io possa vedere sempre più chiaramente
e sradicare sempre più profondamente
le cause della sofferenza: l'attaccamento, l'avversione, la non visione
dentro e fuori di me.
Che io possa essere libero
da tutta la sofferenza non necessaria.
Che io possa essere felice e in pace
con tutto ciò che viene e tutto ciò che se ne va.»
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